Federalismo televisivo o programmi regionali?
Nuova Armonia rivista Rai Senior n.2/2018
C’era una volta
Tivù regionale
immette il suo occhio
in fabbriche e in case
tra piazze e parrocchie
ascolta lagnanze
dà spazio agli ingegni
nei luoghi dell’arte
diffusi in provincia
in scena gli artisti
non noti ma eccelsi
ricerca nei borghi
la nuova cultura
dai media ignorata
accetta i dialetti
ma anche stranieri
è minima e povera
vivace e concreta
www.antoniobruni.it
Federalismo televisivo o programmi regionali?
(Nuova Armonia Rai Senior 2010n.6 scarica pdf a sx)
Federalismo televisivo? Ci fu un’esperienza molto forte tra il 1979 e il 1987 quando nacque RaiTre che doveva essere la rete regional-nazionale. Qual era il progetto? A dieci anni dall’istituzione delle regioni si voleva fornirle di uno strumento pubblico di comunicazione al servizio del territorio. Un telegiornale regionale tutti i giorni alle 19 e due programmi settimanali di mezz’ora (RR, regionale per regionale), ed alcuni programmi realizzati in regione da trasmettere in rete nazionale (RN regionale per nazionale). Si doveva dare spazio ai temi locali, trovare talenti, far emergere creatività, ricchezza culturale ma anche mostrare pluralismo e diversità. Bisognava mettere in piedi nelle ventuno sedi regionali (Trento e Bolzano sono due diverse unità) strutture in grado di produrre; fino allora le sedi realizzavano solo una fascia radiofonica quotidiana di un’ora. Furono assunti per concorso nazionale quattro programmisti registi e quattro giornalisti per regione e da quella difficile selezione entrò in azienda una classe notevole di cervelli; alcuni di essi hanno raggiunto alti gradi o notorietà: Giuseppe Giulietti, Enrico Ghezzi, Sergio Valzania, Roberto Olla, Daniela Tagliafico, Ezio Trussoni, ma si potrebbero fare tanti altri nomi.
In quel periodo ero autore in video di programmi dedicati ad un tema e ad una parola allora sconosciuti: il volontariato; avevo inoltre un’esperienza di associazioni di base, dai giornali studenteschi alla nascente ecologia. Mi mandarono nel 1978 ad Aosta e nel 1980 a Venezia per fondare le strutture di programmazione. Ero il più giovane dirigente e sono l’ultimo rimasto in azienda di quella generazione di programmisti. Bisognava cominciare da capo facendo partire immediatamente il treno: addestrare i giovani registi, coltissimi ma inesperti, creare una rete di collaboratori, individuare gli argomenti da proporre al pubblico e, cosa rilevante, fare i conti con la scarsità di mezzi disponibili; per realizzare un programma di trenta minuti avevamo in media due milioni di lire, tre giorni di riprese e tre di montaggio. Con un criterio che ancora oggi non comprendo, l’azienda installò in ogni sede uno studio televisivo piccolissimo, in coabitazione tra telegiornale e programmi, anche laddove si disponeva di locali ben più ampi. La convivenza tra informazione e programmi creava attriti continui perché ognuno doveva difendere i propri spazi di produzione, insufficienti per entrambi; questo contrasto, insito nel modello delle sedi, portò alla fine della rete regionale nel 1987. L’azienda decise di chiudere gli spazi dei programmi assegnando tutte le risorse disponibili alle redazioni dei tg. RaiTre fu trasformata in una rete nazionale al pari delle altre. Il taglio non sortì risultati positivi: non saziò le necessità delle redazioni, che continuarono a rivendicare altre risorse e il risparmio di bilancio fu irrisorio. Per contro le regioni furono private di spazi televisivi di approfondimento che risultavano importanti e graditi a livello locale perché il pubblico vi si riconosceva. Pochi protestarono e furono gruppi culturali e sociali, non i politici locali che erano interessati solo a notizie, interviste, polemiche locali e resoconti di convegni ovvero alle cronache del palazzo.
Per dare un’idea del servizio reso dai programmi ecco alcuni dati dell’esperienza del Veneto dall’80 all’87 in trasmissione regionale: novanta programmi dedicati a ritratti di personalità (scrittori, artisti figurativi, musicisti, filosofi, imprenditori, scienziati, religiosi, realizzatori di opere di solidarietà e di assistenza, artisti della scena) una galleria completa dei veneti più illustri di quegli anni. Cinquanta esecuzioni di compagnie locali di musica, teatro, danza. Documentari sulle grandi mostre d’arte e sui musei. Inchieste sulla vita religiosa, sugli atenei, sulle fabbriche, sulle allora fiorenti aziende artigiane, sui trasporti regionali, sui parchi, sul mantenimento delle dimore storiche. Molte storie di persone semplici, vicende famigliari, inventori e personaggi bizzarri, filastrocche e proverbi dialettali. La cucina veneta entrò in scena molto prima che la gastronomia inflazionasse le reti nazionali. Molti furono i programmi realizzati per il nazionale insieme a grandi e a piccole istituzioni culturali: la Biennale, La Fenice, l’Arena, il Teatro Olimpico. Furono anni in cui si tratteggiò un ritratto televisivo del Veneto e dei veneti completo in tutti gli aspetti, come affermò pubblicamente il poeta e scrittore Bino Rebellato. Rilevante la possibilità, oggi rarissima, data a autori e registi, interni Rai ed esterni, di esercitarsi con i mezzi di produzione e di esprimersi realizzando con libertà i programmi. Tra i collaboratori di quella stagione alcuni sarebbero diventati comunque famosi, come Alfredo Meocci, Vittorio Sgarbi, Riccardo Calimani, Gigi Marzullo, Carlo Mazzacurati, i fratello Manfio, Donella Del Monaco, Alfredo Tisocco, Miriam Meghnagi; altri, giovanissimi, nella rete regionale si affermarono professionisti come i registi Ornella Barreca, Antonello Belluco e Luigi Zannini, le conduttrici Mariangela Bonfanti e Lella Carcereri, i giornalisti e scrittori Stefano Annibaletto, Claudio Baccarin, Angelo Baiocchi e Cecilia Tito.
Perché non pensare oggi di riaprire i programmi regionali? Si è visto che le tivù private non riescono a dare espressione al territorio; Rai dovrebbe farlo, questo sarebbe un compito peculiare del servizio pubblico.
Antonio Bruni